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La bufala degli 11 principi della propaganda nazi

La bufala degli 11 principi della propaganda nazi

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Da 20 anni impazza sul web una falsa notizia che, grazie alla sua diffusione virale, è ormai generalmente creduta vera. Sono i cosiddetti «11 principi della propaganda di Goebbels». Basterebbe leggere uno dei testi classici sul nazismo e sul potente ministro della propaganda di Hitler, per capire che Goebbels non ha mai scritto alcun manuale di propaganda, perché questo era contrario alla sua visione della propaganda: questa non prevedeva «leggi» o «principi» condificati, perché era soggetta a incessanti mutamenti, dovendosi adattare al mutare delle condizioni reali. I biografi di Goebbels, come Peter Longerich, che hanno letto l’imponente mole di diari e di scritti da lui lasciati, sottolineano a più riprese come la «flessibilità» fosse la caratteristica più originale della sua propaganda.

Da dove nascono dunque questi fantomatici 11 principi? È una lunga storia, che ho ricostruito in un libro pubblicato con Amazon. Non cito qui questo testo per vendere qualche copia più. Quel che mi preme è esortare gli utenti della Rete a non dare per scontato ciò che passa sullo schermo del nostro computer o sul monitor del nostro smartphone: cercate di esercitare lo spirito critico, di andare al fondo delle cose, senza accontentarsi di prendere per buono quel che ci viene presentato come buono. Una notizia virale sui social o sui blog, o persino su blasonati guotidiani o emittenti televisive, non necessariamente è reale: la quantità non fa la qualità. Mon date per scontato ciò che è tutto da dimostrare. Specie se dovete realizzare un libro o scrivere una tesi, non navigate sulla superficie del we, cercate di guardare un po’ più a fondo.

Ecco, in estrema sintesi la storia degli 11 principi che Goebbels non ha mai scritto. Nel 1941, sotto il regime di Vichy, un giovane intellettuale francese di nome Pol Quentin, contiguo al regime, scrisse un libro sulla propaganda politica del suo tempo. Sintetizzò in una decina di regole quello che riteneva fossero il pensiero e le modalità d’azione del regime nazista in materia di propaganda. Dopo la guerra, nel 1951, un altro studioso francese, Jean-Marie Domenach, riprese il tema e pubblicò un nuovo libro che aveva l’identico titolo di quello di Quentin («La propagande politique»), ma si muoveva in una prospettiva politica e culturale molto differente. Anch’egli sintetizzò in poche regole (5, se non ricordo male) i principi della propaganda nazista. Uno studio in inglese dello psicologo americano Leonard W. Doob su alcuni diari di Goebbels, spesso citato in Rete a sproposito da chi non ha letto nulla di lui, è spesso erroneamente associato all’origine dei fantomatici «11 principi».

Molti anni più tardi, nel 2003, un noto pubblicitario catalano, Marçal Moliné, che da giovane, sotto il regime franchista, aveva studiato la propaganda e letto i libri di Quentin e soprattutto di Domenach, creò la versione poi divenuta canonica delle «11 leggi della propaganda nazi». Era il settembre 2003 e l’articolo di Moliné, pubblicato sul magazine «Anuncios», fece un certo rumore. Egli accusava il Partito popolare spagnolo di Aznar di usare i metodi della propagnada di Goebbels, e nello stesso tempo invitava il Partito socialista (per il quale simpatizzava) a fare altrettanto, per non soccombere agli aversari.

Per qualche tempo sulla stampa spagnola si parlò dei «principi della propaganda di Moliné». Ma dopo qualche anno diventarono semplicemente gli «11 principi di Goebbels». Vista la contiguità linguistica, queste presunte «leggi» ebbero un’enorme diffusione in Sudamerica, dove si contiunuano a realizzare corsi accademici, tesi di laurea, interviste e tanti libri su un testo che non esiste, ma che tutti danno per scontato che esista. Potere intangibile del web. Dal mondo ispanico, la bufala è approdata in Italia, paese permeabile a ogni fake news. E siamo ancora qui a parlare di questo: vox clamans in deserto.

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