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La retorica dei greci 3

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La morte di Socrate, Jacques-Louis David, 1787

 Attraverso i pochi frammenti delle sue opere e le testimonianze che sono giunte fino a noi negli scritti di Platone, Aristotele, Sesto Empirico e altri, sappiamo che il contrasto fra Gorgia e Socrate, raccontato da Platone, verteva sui concetti di «verità» e su quelli (che nella visione socratica sono intimamente connessi) di «bene» e di «giustizia». Questi, per Socrate, rappresentano il fine stesso della filosofia; il linguaggio, il logos, è solo lo strumento che consente di raggiungere quel fine. L’eloquenza priva di contenuti, che non abbia cioè come faro la verità, è aspramente criticata da Socrate. Gorgia invece non è interessato alla ricerca della verità; e forse proprio nelsuo relativismo consiste la modernità del pensiero del Sofista. Anzi, nelle sue «tre tesi», tramandateci da fonti antiche, nega l’esistenza non solo della verità, ma persino dell’essere: «1) Nulla è; 2) anche se è, è per l’uomo inconoscibile; 3) anche se è conoscibile, tuttavia certo è inesprimibile e inspiegabile agli altri» (Anonimo Pseudo Aristotelico, MGX,979a12-980b21). Si comprende allora perché l’anti-dogmatico Gorgia, pur osteggiato dalla lunga tradizione della filosofia occidentale da Platone a Hegel, abbia suscitato nella cultura moderna l’interesse di filosofi come Nietzsche e Heidegger: «Quando noi ci rivolgiamo alla sofistica – ha scritto Emanuele Severino – abbiamo già il sentore del clima culturale del nostro tempo» (Severino, 2009, cap VII).

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