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La retorica dei greci (2)

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Aristotele, Lisippo, 372-310 a.C.

  L’avvento della democrazia nella Grecia classica ha quindi determinato la nascita di nuovi protagonisti della scena pubblica, di nuovi strumenti dialettici, di un nuovo approccio politico e culturale, dei quali nel regime tirannico non si avvertiva il bisogno. Per prevalere nelle assemblee servivano ora mezzi di persuasione capaci di convincere il popolo, suggestionandolo con il fascino del discorso e non terrorizzandolo con la minaccia della violenza. Il più efficace di questi strumenti di persuasione è la retorica, la cui invenzione è attribuita a Corace e al suo discepolo Tisia, vissuti nella Siracusa del V secolo a.C., anche se Aristotele ritiene fosse stata introdotta da Empedocle di Agrigento (Luzzatto, p. 207). Fatto sta che a partire dalla seconda metà del V secolo i grandi oratori si trasferirono dalla Sicilia ad Atene, dove la loro arte conobbe un enorme successo, sopratutto grazie al principe dei rètori sofisti, Gorgia da Leontini (l’attuale città siciliana di Lentini), che di Tisia fu discepolo.

  La retorica dei sofisti era simile ad una «tecnica agonistica», secondo la definizione che ne dà lo stesso Gorgia nel dialogo che Platone gli ha dedicato. Il modo in cui questo grande rètore interpretava la sua arte, offre molti spunti di riflessione al lettore moderno, che non tarderà a riconoscere in alcune idee e tecniche discorsive gorgiane le caratteristiche peculiari di quel discorso che oggi chiamiamo storytelling, cioè la narrazione suasiva () finalizzata unicamente alla conquista del consenso, che nel nostro tempo ha preso il posto dell’argomentazione politica.

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